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Festa in onore di San Pietro 29 Giugno
Il Santo Patrono di Cetara è S. Pietro e la sua festività cade il 29 giugno. Questa è detta la festa dei pescatori, proprio perché l’attività predominante in questo piccolo borgo marinaro è la pesca. Per quella data il paesino viene illuminato a festa, cosparso di festoni, striscioni e bandiere. La statua di S. Pietro viene portata sulla riva del mare, ove uno stuolo di ragazzi in costume la inondano di acqua. In questo modo i pescatori divengono consapevoli del fatto che la pesca andrà bene. Nel pomeriggio poi vi è la classica processione che si snoda tra le stradine del paese. Dopodiché il Santo viene posto su una barca circondato da decine e decine di lampadine che lo illuminano. Da qui il Santo guarda Cetara e la benedice. In quest’occasione è consuetudine preparare il piatto tipico che è la Scapecia, piatto composto da alici e menta.
VEDERE, VISITARE, TROVARE: la festa si tiene il 29 giugno, per l’intera giornata, presso la Chiesa di S. Pietro.
OPPORTUNITA’: i visitatori che si trovano ad assistervi dovrebbero essere informati sui significati e sull’origine delle celebrazioni e delle loro modalità di svolgimento.
La Festa di San Pietro Apostolo (29 giugno) è intensamente e orgogliosamente sentita e vissuta dai Cetaresi: accomunati nella dedizione a S, Pietro alla Capitale, i vecchi pescatori, in segno di vanto per la grandiosità dei festeggiamenti da loro apprestati il 29 giugno, usavano dire “San Pietro a Cetara e San Petrullo a Roma!”. La ricorrenza è intesa cine festa del “santo pescatore”, la cui statua, assisa su una barca, viene trasportata a spalle lungo il corso, per tutto il paese, ϐino a qualche anno fa preceduto da uno stuolo di ragazzi che, in costume da pescatori, esponevano altrettanti modelli di imbarcazioni. Giunta sulla marina, la barca del Santo è adagiata sotto il “cappellone” e dopo un breve ufϐicio sacro, ad un discreto passo di danza sulle note della marcia di Radetzky, per tre volte raggiunge la riva, avanzando sempre di più verso la battigia. A questo cerimoniale segue quello della “corsa” lungo le scale al momento del rientro: tale epilogo è comune a quasi tutte le processioni patronali in Costiera. La cerimonia civile si conclude oltre la mezzanotte con un imponente, suggestivo ed apprezzatissimo spettacolo di fuochi pirotecnici esplosi dal braccio esterno del porto. Negli ultimi anni alcuni particolari sono stati modiϐicati, a cominciare dal volto di San Pietro, che da un recente restauro è uscito sbiancato e ingentilito. Non oso mettere in discussione la correttezza del restauro, ma non posso esimermi dal notare che la precedente rappresentazione del volto – corrugato, abbronzato, anzi “cuotto ‘e sole” – meglio esprimeva la ϐisionomia dei pescatori di Cetara. Anche il “cappellone” ha subito un drastico ridimensionamento: concepito come scenografa d’una” grande cappella” ad altezza naturale, un tempo era costituita dall’assemblaggio di pannelli in tela dipinti, montati su di un telaio di pali e traverse illuminato da lampade ad acetilene o gas; successivamente ai teli dipinti furono sostituite sagome luminose di lampadine colorate; ultimamente si è ridotto a poco più di un precario altarino su cui far posare il Santo prima e dopo il rituale del progressivo avvicinamento al mare. ..Omissis Nella processione di San Pietro è facile cogliere aspetti e motivi mutuati da altre cerimonie, Nel triplice avvicinamento alla riva (e nel suo superamento ϐinale) non è chi non veda riecheggiare lo “sposalizio col mare” del Bucintoro veneziano. In ogni caso, è evidente il signiϐicato di benedizione del mare e della pesca.
Tu vuttàste à Petro e Petro vuttàje à tte
Tu spingesti Pietro e Pietro spinse te. Nella primavera del 1799 per due volte i Francesi attaccarono Cetara (ϐiloborbonica). Al secondo tentativo riuscirono a penetrare nel paese, che trovarono però disabitato perché intanto la popolazione si era rifugiata nei boschi. Irritati, gli invasori si lasciarono andare ad atti di vero e proprio vandalismo, devastando, incendiando e distruggendo ogni cosa. Anche la chiesa madre di S. Pietro Apostolo fu profanata, devastata e spogliata degli arredi sacri. Ed è a questo punto che alla rievocazione propriamente storica si salda una leggenda popolare tuttora viva. Si narra che un soldato francese, in segno di disprezzo, spinse dal piedistallo e fece cadere a terra la statua del santo patrono, procurandone la rottura del naso. Ma poco dopo quello stesso milite, mentre si accingeva a scendere per un viottolo che dalla “Gabella” (sul conϐine con la Collata) menava alla scogliera sottostante, cadde e, precipitando sugli scogli, rimase ucciso. Al che un commilitone, che aveva assistito al gratuito oltraggio poco prima inferto alla statua di S. Pietro, avrebbe sussurrato al malcapitato morente: “Tu spingesti Pietro e Pietro spinse te”. Di qui il motto popolare, tuttora in uso: “Tu vuttaste a Petro e Petro vuttàje a tte”. Non è chi non veda riecheggiare in questa leggenda il monito a non scherzare coi santi (“Gioca coi fanti e lascia stare i santi”), o addirittura un’eco del “De mortibus persecutorum” di Lattanzio (cfr. C. Montesanto, “Cetara: una sponda del Mediterraneo”, Pro-loco Cetara, 2005, pag.77, nota; seconda edizione, 2016, pag. 95).
Il “bagno” di San Pietro
La mattina del 19 giugno, esattamente dieci giorni prima della festa patronale, la statua di San Pietro viene trasportata sulla riva a ricevere (solo simbolicamente) gli spruzzi d’acqua dai bambini immersi nelle onde. Più che un rito battesimale, a me sembra un rito propiziatorio: di rinnovazione e di conferma dello stretto legame fra il Santo, il mare e il lavoro dei pescatori, la cui continuità è confermata dalla partecipazione al rito dei bambini
San Pietro: il racconto della processione del 1962
Anche se la scuola è ϐinita da quindici giorni, stamattina mamma mi sveglia alle sette. Ma oggi è una giornata speciale: è San Pietro. Bevo in fretta il latte e scappo. Don Giovanni lo ha detto chiaro e tondo: i chierichetti che non serviranno la messa, soprattutto la prima messa, non faranno la processione. Lungo il corso le bancarelle stanno aprendo, la banda scarica tromboni e grancasse, molti uomini girano già in giacca e cravatta. In sagrestia sono tutti pronti e faccio appena in tempo ad indossare la cotta. La messa è breve e alle otto e mezza è tutto ϐinito. Mentre don Giovanni in sagrestia consuma la colazione, arrivano i mastri di festa Colangiello e Ciccio il sagrestano, che cominciano a dare ordini. Io e Salvatore, che è il mio compagno di banco, ce la svigniamo. Fuori fa già molto caldo e davanti alla chiesa c’è la scrivania con in vendita le preci di San Pietro. Belϐiore, che ha il bar di fronte, porta ai tavolini caffè e bicchieri colmi di un liquido biancastro. Salvatore mi spiega che è un liquore francese che si chiama pastis. Quest’anno mi dice sono arrivati molti Cetaresi da Sète che spareranno delle callose che faranno venire giù il paese. Belϐiore, oltre a fare il barista, suona l’organo la domenica e ai funerali, ma nei giorni di grande festa deve badare al bar e allora a suonare viene da Vietri il professore Galano che deve essere accompagnato perché è cieco. Il paese è in piena festa, uomini e donne incignano vestiti nuovi, ma ci sono anche forestieri che in costume e maglietta vanno alla spiaggia. Per noi Cetaresi il giorno di San Pietro è assolutamente vietato fare il bagno, per devozione. Per la messa solenne i compiti sono già assegnati: Pietro Palazza porterà la croce, Zefferino, che è il preferito di zio perché l’anno prossimo andrà in seminario, l’incensiere, Alfonsino la navetta, mentre io e Salvatore dobbiamo reggere il pizzo al mantello del vescovo Sua Eccellenza Rossini che è venuto a celebrare. Alla ϐine della messa, mentre l’organo suona al massimo e tutti cantano Onore a te S. Pietro, Don Giovanni fa un cenno e Benito e Giovanni si arrampicano nel campanile e si attaccano alle corde del campanone e delle romanelle. Fuori sparano botti che fanno tremare la chiesa. Alle sei e mezza sono di nuovo in chiesa. C’ è gran confusione: San Pietro, col catenone e il bracciale d’oro e il gallo e il libro d’argento ai lati, è sulla barca piena d’ortensie al centro della chiesa, il pallio è in un angolo, i portatori indossano la tunica bianca, i forestieri entrano per farsi una fotograϐia, le donne pregano e cantano. Dopo una breve messa il corteo si avvia. Dalle scalinate scendono i fratielli che mantengono l’ordine e la ϐila dando frustate con pezzi di corda intrecciati, lo stendardo di S. Pietro, le ϐiglie di Maria, i bambini della prima comunione, le donne scalze che portano ceri accesi, i giovanotti scalzi con la piccola barca, i quattro chierichetti più grossi con i lampioni placcati d’oro, Pietro Palazza con una croce pure d’oro, Zefferino e Alfonso con incensiere e navetta d’argento, io e Salvatore a reggere il pizzo del mantello di Don Giovanni che pesa un quintale. Un attimo prima che compaia il Santo, Colangiello fa un cenno e la banda attacca la marcia, le campane suonano a tutta forza, i botti fanno tremare, la gente urla e applaude. La processione è lenta, perché S. Pietro avanza al passo che Zi Bnnard impone ai portatori e si ferma quando la banda non suona. Solo allora nel silenzio si sente il canto delle donne in cetarese che inizia così “San Pietro m’ abblegnn”. Nessuno è mai riuscito a spiegarmi che signiϐica. Iniziamo a salire al Casale e la via si restringe, la processione si divide: chi va a destra e chi a sinistra. Le campane della chiesa del Casale cominciano a suonare e ho paura. C’è una grande rivalità tra Casale e Marina: i casalesi zappano, alla marina si pesca; c’è la Madonna della Marina e la Madonna del Casale. Teresina, un’amica di nonna, mi ha raccontato che, prima della guerra, i Casalesi, quando arrivava il Santo, sfottevano i portatori perché non venivano mai scelti per trasportarlo. Un anno si arrivò ad un punto tale che San Pietro fu messo a terra e se le diedero di santa ragione. Da Piazza Fontana in poi le arcate sono molto vicine e diventano addirittura una galleria illuminata di vari colori sulla spiaggia. E avanzando sulla rena per tutti la stanchezza passa di colpo: i fratielli sembrano tanti diavoli a menare frustate, le donne cantano a squarciagola, la banda suona più forte, i ciancioli alla fonda suonano le sirene. Non ho mai visto il paese così affollato: sono venuti da Salerno, da Vietri, da Raito, da Maiori, da Amalϐi e non solo via terra, perché il golfo è pieno di barche, gozzi, canotti, jole, persino yacht. San Pietro viene adagiato nel cappellone, Santonicola scatta fotograϐie a bambini e adulti vicino alla statua, i portatori assetati consumano casse di birra. All’improvviso dalla Grotta e dalla Galera partono i fuochi. Salvatore non ha sbagliato: i botti fanno paura, la terra trema, le donne si coprono le orecchie, i bimbi piangono ed io mi nascondo sotto il mantello di Don Giovanni. E mentre l’aria puzza ancora di fuoco inizia la Benedizione del Mare: la piccola barca e la barca grande avanzano per tre volte nel nostro mare. E quando ϐinisce non si capisce più niente: la gente scappa per via S. Giacomo per vedere la corsa dall’alto. Arriviamo sotto le scale, la banda tace, i portatori si scambiano i posti: i più piccoli vanno avanti e i più grandi passano dietro. C’è un gran silenzio: Zi Bnnard conta ϐino a tre, i portatori gridano “a nom e’ San Pietro” e la barca traballando vola su per le scale seguita dal pallio. E poi tutti impazziscono: la gente urla, le campane suonano a stormo e San Pietro ci benedice tre volte prima di rientrare in chiesa seguito subito dopo dallo svolazzo in corsa del pallio. La notte sarà ancora lunga: il concerto della banda, il giro per le bancarelle, i fuochi di mezzanotte, ma per me la vera festa ϐinisce qui.